mercoledì 3 febbraio 2021

[Economia] Riflessione sulla sostenibilitá del debito

Numerofilo ha commentato il mio post in cui mi ponevo alcune domande in merito a come sostenere il debito pubblico in un periodo molto lungo.

Non mi trovo completamente allineato al pensiero di Numerofilo, di cui propongo il commento qua sotto, e in corsivo esplicito il mio pensiero. Il post di Numerofilo peró é molto interessante, anche se impegnativo. Buona lettura.

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Spoiler

Questo non è un articolo per sovranisti di varia natura né tanto meno per sostenitori senza se e senza ma dell’euro. Non è neanche un articolo per statalisti o per fautori del mercato a tutti i costi. E’ solo una analisi di numeri.

Nell’articolo non si farà inoltre distinzione tra investimenti pubblici e privati, tra inefficienze degli uni o efficienze degli altri.

Per investimento, infine, non si intende solo quello finanziario ma anche, ad esempio, il tempo che uno dedica allo studio, alla propria cultura. Se uno ha 20 euro da spendere può decidere di usarli per l’aperitivo oppure per comprare il biglietto di un museo. E sono cose ben diverse tra di loro.

 

Introduzione

 

Nel suo ultimo articolo Lorenzo Marchetti si chiede come fa un debito pubblico ad essere sostenibile all’infinito. La risposta di Lorenzo è che il debito è sostenibile ”fino a quando lo stato paga le cedole o il debito giunto a maturazione”.   Lo stato, in sintesi, deve tassare per racimolare i soldi per gli interessi e deve trovare sempre nuovi sottoscrittori per il debito in scadenza.

Nota di Lorenzo: in realtá io insisto sul concetto di produttivitá che consente allo stato di ripagare il debito. Ma per definizione, lo stato fa default, cioé non é in grado di ripagare il debito, se non rimborsa cedole o debito giunto a maturazione.

 Esiste una condizione fondamentale perché il sistema sia sostenibile ed è quella che il PIL cresca.

Per fare crescere il PIL servono gli investimenti. Ma qui occorre entrare in un dettaglio maggiore perché la propensione all’investimento, di tempo o denaro, cambia in funzione del ritorno atteso e del rischio percepito. E le cose si fanno complicate.

 Facciamo un gioco

 Cosa pensereste se vi dicessi che un gioco che rende, mediamente, il 60 % di quanto puntato inizialmente verrebbe rifiutato da tutti? Probabilmente direste che sto scrivendo una cavolata.

Eppure è così, verrebbe rifiutato.

Il gioco funziona così. All’inizio mettete 1000 euro, insomma una cifra da cui non vi separate a cuor leggero, poi lanciate una moneta 10 volte. Se esce testa incrementate dl 50 % quanto avete, cioè passate da 1000 a 1500 euro, se esce croce perdete il 40 %, cioè passate da 1000 a 600 euro.

Che valutazione fareste per decidere se giocare o meno? Ipotizzereste che vi esca 5 volte testa e 5 volte croce, fate i conti e vedete che alla fine vi restano 590 euro, quindi rifiutate il gioco.

Nota di Lorenzo: si considera che esca esattamente 5 volte testa e POI esattamente 5 volte croce, in successione.

Stanno veramente così le cose? No, perché il risultato 5/5 è la media di tanti possibili risultati che spaziano tra 10/0 e 0/10, secondo una precisa distribuzione che può essere valutata con il triangolo di Tartaglia.

Nota di Lorenzo: si tratta di una distribuzione binomiale, per i nerd della statistica :-), che sta dietro il Triangolo di Tartaglia.

Se fate giocare almeno 1024 persone (2 alla decima potenza) ci sarà uno a cui uscirà una distribuzione 10T/0C, che vincerà 57000 euro e uno a cui uscirà la distribuzione 0T/10C che perderà praticamente tutti i 1000 euro iniziali. Ma 57000 euro di vincita compensano ampiamente 1000 euro di perdita massima. Facendosi i conti si scoprirà che il capitale iniziale del gruppo sarà aumentato di oltre il 60 %.

E’ comunque evidente che, affinché il ritorno del 60 & si verifichi il numero dei giocatori deve essere elevato affinché un evento improbabile, 10T/0C, si verifichi almeno una volta.

 

Cambiamo gioco

 

Il lancio di una moneta è puramente casuale. Prendiamo un gioco di carte, ad esempio il poker, dove conta sia la fortuna che l’abilità.

Supponiamo che un casinò organizzi, a fini pubblicitari, un torneo dove mette i palio, oltre a quanto versato dagli iscritti, un ammontare equivalente alla somma raccolta. Il ritorno economico complessivo sarà quindi del 100 %. La quota di iscrizione è, al solito molto elevata.

Vi sono però alcune condizioni

1.       Al torneo si deve iscrivere  almeno una certa percentuale dei i presenti che non viene comunicata prima dell’iscrizione ma è stata scritta su un foglio conservato da un notaio.

2.       Se non si iscrivono tutti non solo il casinò non aggiungerà la sua parte, ma tratterrà il 10 % di quanto versato dai giocatori per l’iscrizione.

3.       A parte pochissimi professionisti, la maggior parte dei presenti ha conoscenze rudimentali del gioco.

4.       A dividersi il premio sarà il 15 % dei concorrenti, i primi classificati

A questo punto prima di iscriversi scatteranno i ragionamenti. Sono troppo scarso per arrivare nel top 15 % a meno di una gran fortuna, chissà se si iscrive il numero sufficiente di persone, la  quota di iscrizione è troppo elevata per le mie possibilità. E molto probabilmente non si raggiungerà il minimo di iscritti.

 

Dal gioco agli investimenti

 

Cosa ci dicono i due giochi sopra descritti?

In primo luogo che se percepiamo un rischio troppo alto, rinunciamo. E fin qui niente di strano.

Ma soprattutto ci dicono due cose:

  1. Perché l’investimento frutti occorre una massa critica di investitori
  2. I frutti dell’investimento di molti vanno a beneficio di pochi, vale più o meno la regola di Pareto

Jeff Bezos è stato sicuramente abile, ha avuto intuito, è stato fortunato, aggiungete voi qualsiasi altra cosa, ma se avesse provato ad aprire Amazon in Congo invege che negli USA avrebbe probabilmente fallito miseramente.

E ciò sarebbe avvenuto non solo perché in Congo nessuno lo avrebbe finanziato, ma perché non avrebbe trovato una infrastruttuta internet, non avrebbe avuto venditori/compratori pronti ad usare la sua piattaforma, non avrebbe avuto collaboratori sufficientemente preparati per portare avanti il suo progetto, a meno che non crediate che ha scritto lui il software. E queste sono cose per le quali lui non ha merito alcuno.

 

Conclusioni

 

Quanto sopra esposto deve fare riflettere sul fatto che ci si deve porre il problema della distribuzione dei profitti dell’investimento altrimenti saranno pochi a rischiare sia i propri soldi che il proprio tempo e impegno.

Non è solo un problema di tassazione, tipico di una visione socialista che sarebbe sensata se gli investimenti fossero del tipo lancio della monetina, ma anche di rapporti tra i differenti stakeholder di una azienda, ossia azionisti, dirigenti, dipendenti, fornitori, clienti, società in cui l’azienda opera.

Un approccio “meritocratico” premia Jeff Bezos, che viene ritenuto l’unico artefice del successo di Amazon. Non è così perché quel successo è dovuto a molti altri che hanno creato le condizioni al contorno.

Se questi altri vengono esclusi dal ritorno economico, anzi sentono solo di stare rischiando di tasca loro, il risultato che si otterrà e che sempre meno persone investiranno tempo e denaro nella crescita economica.

E il debito diventerà insostenibile, per tornare al quesito di Lorenzo

 

by Numerofilo

Nota di Lorenzo: il punto che mi preme sottolineare é che, ovviamente, siamo la somma del nostro passato. Investimenti della DARPA in internet, dei Bell Labs finanziati da AT&T sui transitor, del Dipartimento della Difesa americano sul GPS, etc. sono patrimonio di chi vive oggi. Ma ci sono uomini e donne dietro ognuno di quei successi. Spesso e volentieri finanziati dal governo perché i costi di ricerca erano talmente imponenti che solo un governo era in grado di sostenerli.

Il punto é fare in modo che gli investimenti producano un ritorno adeguato.

Una possibile ricetta? io mi trovo d'accordo con Richard Duncan (richardduncaneconomics.org): la soluzione é investire ENORMEMENTE con debito statale in R&D nei settori di punta. Se anche il10% soltanto dei progetti ha successo, con lo stato che detiene a fronte dei soldi versati la quota di maggioranza al 51% delle aziende che finanzia, i ritorni sarebbero enormi per gli azionisti (cioé i contribuenti), e coprirebbero di varie unitá di grandezza gli investimenti effettuati. A chi assegnare la guida di questi progetti? A un pool di imprenditori selezionati per competenza, curriculum, storia. Il fatto che lo Stato entri con quota 51% garantirebbe entrambe le condizioni elencate da Numerofilo.



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